mercoledì 4 luglio 2012

FIASO, GUERRA ALLO STRESS IN CORSIA con 15 BEST PRACTICE

Personalizzare l'orario di lavoro, organizzare un nido aziendale o un doposcuola natalizio per i figli dei dipendenti, garantire un tutoraggio adeguato per i neoassunti. Sono solo alcune delle best practice sperimentate dalle 15 aziende sanitarie aderenti al progetto del Laboratorio Fiaso su "Sviluppo e tutela della salute e del benessere organizzativo nelle aziende sanitarie" , un'iniziativa finalizzata ad abbattere lo stress dei lavoratori della sanità. Dalla Ricerca, presentata a Roma il 29 marzo, emerge che motivando il personale con politiche di attenzione al benessere psico-fisico sul lavoro sono più che dimezzati gli stressati sul lavoro e viene abbattuto l'assenteismo. I Risultati dell'esperienza verranno ora tradotti in Linee-guida per dare scacco allo stress nella sanità e nella Pubblica amministrazione. La sperimentazione promossa dalla Federazione di Asl e Ospedali è il primo esempio di applicazione della normativa, che recependo gli accordi europei, vincola tutte le aziende pubbliche e private a combattere i fattori di stress nei luoghi di lavoro. Che costano oltre 20 miliardi di euro all'economia europea e ai quali sono attribuibili il 60% delle assenze lavorative. Migliorando il "clima interno" cresce di oltre il 27% la produttività e il gradimento dei clienti sale di 27 punti. Partendo da una check list di eventi sentinella del rischio di "stress da lavoro correlato" si è rilevato il livello di benessere psicologico in un campione significativo di 15 aziende sanitarie che hanno attuato una serie di azioni mirate a migliorare l'ambiente lavorativo sotto tutti gli aspetti: da quello motivazionale a quello ambientale e di attenzione ai problemi sociali e familiari che non sempre riescono a restare fuori della porta quando si è in azienda. I risultati sono stati sorprendenti: far lavorare i propri dipendenti in un clima più favorevole paga, visto che il numero di "stressati" in ufficio o in corsia è sceso ben al di sotto della soglia del 10%, contro un buon 25% di partenza. Che è poi la media europea dei lavoratori colpiti da quella sindrome da stress correlato al lavoro che alle economie dei Paesi UE costa ben 20 miliardi di euro l'anno, tra calo della produttività e il 60% di tutte le giornate di malattia riscontrate nei luoghi di lavoro. Un problema serio del quale l'Europa si è accorta da tempo. Tanto da far stipulare nel 2008 uno specifico accordo tra le imprese e parti sociali a livello europeo, che poi l'Italia ha provveduto a recepire con un decreto ad hoc, che tra una proroga e l'altra ha fatto scattare dal 1° gennaio di quest'anno la lotta allo stress in tutti i luoghi di lavoro. Pubblici e privati. E la sanità, grazie al Laboratorio Fiaso, ha fatto da apripista, sperimentando con successo una politica di promozione del benessere in Asl e Ospedali, racchiusa ora nelle oltre trecento pagine della ricerca che potranno "dettare la linea" non solo nel comparto della sanità ma anche nel resto del mondo lavorativo. I 13 fattori "anti-stress" e le tre principali cause che lo scatenano "Dopo l'avvio dei programmi di riduzione dei fattori di stress lavoro" nelle 15 aziende campione oltre il 77% dei dipendenti, dai medici agli infermieri, dai tecnici agli impiegati, ha infatti dichiarato di stare benissimo da un punto di vista psicologico. Al contrario la quota dei dipendenti nonostante tutto "stressati" è scesa ampiamente sotto il 10%. Un dato, quest'ultimo, non rilevabile con precisione perché influenzato da una forte visione soggettiva del proprio stato di stress, spiegano i curatori dello Studio. Resta il fatto che la lotta allo stress da lavoro correlato ha contribuito a migliorare sensibilmente la produttività e ad abbattere le giornate di assenza per malattia. Tant'è che la Asl Cuneo 2 e la ASL 12 della Versilia, quest'ultima capofila del progetto, risultano essere anche in cima alla classifica delle aziende con minor tasso di assenteismo. A influire positivamente su questi risultati sono 13 variabili sul benessere organizzativo, puntualmente rilevate dalla Ricerca Fiaso. In una scala da 1 a 5 ad influenzare maggiormente lo stato di benessere sul lavoro sono valori legati alle capacità lavorative, come l'abilità (4,26) e la capacità di utilizzare risorse proprie (4,20). Ma particolarmente rilevanti sono anche la chiarezza del proprio ruolo (3,95), la capacità di fronteggiare gli eventi avversi (3,92), la soddisfazione lavorativa in genere (3,92). Da non trascurare anche le altre variabili. In primis la condivisione degli obiettivi (3,77) e il senso di comunità (3,58). Fattori di disagio lavorativo sono invece prima di tutto gli eccessivi carichi di lavoro (3,57), frutto della politica di quasi permanente blocco delle assunzioni in sanità, che inizia a lasciare il segno. Seguono poi i problemi di conciliazione lavoro-famiglia e i trasferimenti o cambi di mansione. Il fattore "maternità" Un discorso a parte meritano poi le dipendenti in dolce attesa. Per le donne che lavorano in sanità lo stato di gravidanza può diventare più che per altre lavoratrici un fattore di "stress da lavoro correlato", che colpirebbe una gestante su due a causa delle difficoltà riscontrate nella ricollocazione lavorativa dopo la maternità e delle tensioni che a volte si creano con i colleghi che restano. Anche loro stressati dal fatto che in oltre il 60% dei casi le lavoratrici che vanno in maternità in Asl e ospedali pubblici non vengono sostituite per via delle sempre più austere politiche di bilancio imposte dai tagli alla sanità pubblica regionale. Ad evidenziare il fenomeno sono state le prime rilevazioni del Laboratorio FIASO sul "Benessere organizzativo", nato grazie al contributo del colosso farmaceutico Boeringher Ingelheim, che non a caso ha a suo tempo attuato, con buoni risultati, un progetto di ricollocazione delle donne in maternità basato proprio sull'aggiornamento e sul coinvolgimento delle dipendenti nelle attività aziendali durante il periodo di assenza. Il Coordinatore della ricerca Sassoli: "maggior stress in sanità uguale più errori clinici" «In sanità ad esempio - spiega Giancarlo Sassoli- Coordinatore della ricerca e Direttore Generale della Asl 12 della Versilia - è comprovato che i sanitari sottoposti a maggior stress da lavoro correlato commettono anche più errori clinici". "Nelle aziende coinvolte dall'indagine - prosegue- si sono creati nelle strutture di psicologia gruppi di ascolto per i dipendenti in difficoltà lavorativa, offrendo loro un sostegno che non è solo psicologico». «I nuovi assunti hanno un proprio "Tutor" responsabile della loro formazione e sono stati avviati percorsi formativi per Capi Dipartimento, Responsabili di Struttura complessa, Capo Sala e altri profili dirigenziali per sviluppare competenze di governance, come la motivazione del personale, l'adesione agli obiettivi, la soluzione di situazioni conflittuali». Molte e variegate sono le iniziative messe in atto per migliorare lo stato di benessere dei lavoratori delle 15 aziende sanitarie coinvolte nella sperimentazione( Ausl 12 Versilia, Asl Cn2 Alba-Bra, Asl di Bergamo, Asl di Milano, Asl 10 di Firenze, Ulss 3 Bassano del Grappa, Apss Trento, Policlinico S.Martino di Genova, Ausl Bologna, Ausl Rimini, Policlinico di Modena, Asl Roma E, Asl Matera, Ausl di Viterbo e Policlinico di Messina). Si va dall'assistenza allo studio e nel tempo libero per i figli dei dipendenti della Asl di Bergamo ai percorsi "per fare squadra" della Asl Cuneo2; dalle giornate dedicate all'inserimento dei neo-assunti nella Asl di Firenze al training per l'inserimento degli infermieri nella prima linea delle aree di emergenza/urgenza . Monchiero, Presidente Fiaso: "Migliorando le condizioni di lavoro abbattuto l'assenteismo" «Il Laboratorio sul benessere organizzativo -commenta il Presidente Fiaso, Giovanni Monchiero, che è anche Direttore generale della Asl Capofila Cuneo 2- dimostra ancora una volta l'importanza dello star bene nel proprio posto di lavoro. Migliorando le condizioni di lavoro di medici, infermieri, tecnici e amministrativi la mia Asl ad esempio si è piazzata al secondo posto nella classifica con minor tasso di assenteismo». «I dati del Laboratorio - prosegue Monchiero - mostrano in modo inequivocabile l'importanza di crescere e svilupparsi pensando a un modello di azienda che valorizza il ruolo della persona e presta attenzione a tutte le sue necessità, creandole intorno le condizioni per un ambiente sano e più stimolante». Che il gioco valga la candela lo dicono i numeri dei numerosi studi nazionali e internazionali in materia. Secondo l'indagine della International Personal Management, pubblicata dal Financial Times, la "riorganizzazione del benessere aziendale" genera un miglioramento del 30% delle prestazioni individuali e l'allineamento del personale al 100% degli obiettivi. Il Rapporto Asfor (l'Associazione Italiana per la Formazione manageriale) sulla formazione manageriale in Italia dice che il 27,5% delle aziende italiane forma il proprio management per migliorare il benessere lavorativo e la produttività dei dipendenti. E i risultati si vedono perché migliorando il "clima interno" la produttività cresce di oltre il 27% e, quel che forse più conta, la customer, ossia l'indice di gradimento dei clienti, sale di ben 47 punti percentuali. Spetterà ora ai Direttori generali delle Aziende sanitarie che hanno aderito al Laboratorio, insieme a psicologi, medici del lavoro, responsabili della sicurezza e del lavoro studiare come tradurre le esperienze maturate in linee-guida per dare ridurre lo stress correlato al lavoro su tutto lo scacchiere della sanità italiana. Con l'obiettivo di abbattere anche gli errori clinici e, perché no, di fare da apripista anche per il resto del mondo lavorativo. Azienda per azienda le principali ricette "anti-stress" Nell'ambito del Laboratorio FIASO "Sviluppo e tutela del benessere e della salute organizzativa nelle aziende Sanitarie" sono state realizzate alcune sperimentazioni che hanno tutte preso le mosse da una iniziale e approfondita analisi dell'organizzazione. Gli interventi sono stati suddivisi secondo una categorizzazione basata su destinatari e finalità delle azioni e declinati su tre livelli riferiti all'organizzazione, ai gruppi di lavoro, ai singoli lavoratori: - Interventi a livello organizzativo: comprendono i progetti rivolti all'intera Azienda e/o che hanno ricaduta diretta sui processi organizzativi globali. - Interventi a livello di gruppo: riguardano le azioni rivolte a gruppi di dipendenti; in alcuni casi si tratta di gruppi di lavoro della realtà lavorativa, quindi spesso omogenei per Struttura Operativa, eventualmente anche per professionalità, in altri casi sono gruppi creati ad hoc per l'intervento, eterogenei per strutture e/o per professione, con l'obiettivo di stimolare lo scambio e la condivisione. - Interventi a livello individuale: sono rivolti a lavoratori singoli, con l'ipotesi di beneficio diretto e, di conseguenza, sui gruppi di lavoro cui partecipano. Indiretto è l'effetto che si presume positivo per l'intera Azienda, che dovrebbe beneficiare del miglioramento a partire dalla qualità del contributo del singolo dipendente. LEGGI SU IL SOLE-24 ORE SANITA' n. 13/2012 LA SINTESI DEI PROGETTI

giovedì 12 aprile 2012

STRESS da LAVORO. DOVE SI CURA CROLLA L'ASSENTEISMO

Un quarto degli italiani è stressato a causa del lavoro. Il numero è in crescita in questo periodo ed è l'altra faccia della crisi. Da una parte ci sono le drammatiche vicende di coloro che perdono l'impiego, dall'altra l'aumento dei carichi, le mansioni stupide, i turni pesanti. Così chi un'attività retribuita ce l'ha accumula delusioni e preoccupazioni. E si stressa.

A studiare il fenomeno e a cercare le soluzioni è stata la Fiaso, la federazione di aziende sanitarie e ospedaliere italiane, che ha coinvolto i lavoratori di 15 Asl di tutta Italia per risalire al cuore del problema e cercare una soluzione. Si stima che lo stress provochi circa il 60% delle assenze dal lavoro per malattia, con una perdita di produttività a livello europeo di 20 miliardi di euro. Le aziende sanitarie coinvolte nella ricerca hanno proposto varie strategie per rendere il lavoro meno pesante ai propri dipendenti, sia gli amministrativi che il personale sanitario. Alla fine si è registrato un calo dei lavoratori che si sono detti stressati dal loro impiego. Il dato dal 25% è sceso sotto il 10%.

Alcuni esempi? A Bergamo hanno avviato un progetto di assistenza nello studio e più in generale nel tempo libero per i figli dei dipendenti. Viene fatto il doposcuola per chi ha tra i 6 e i 14 anni, c'è anche un centro ricreativo aperto durante le festività, quando le scuole sono chiuse e i genitori lavorano. A Firenze un tutor affianca per sei mesi ogni amministrativo neoassunto. A Genova si fanno corsi per insegnare la comunicazione con i pazienti e i loro parenti. A Trento invece permettono ai dipendenti di modulare i turni sulle necessità della vita familiare, magari utilizzando il telelavoro, così da evitare il part time.

"La nostra ricerca - commenta il Presidente Fiaso, Giovanni Monchiero, che è anche direttore generale della Asl Cuneo 2 - dimostra ancora una volta l'importanza dello star bene nel proprio posto di lavoro. Migliorando le condizioni di lavoro di medici, infermieri, tecnici e amministrativi la mia Asl ad esempio si è piazzata al secondo posto nella classifica con minor tasso di assenteismo. I dati del Laboratorio mostrano in modo inequivocabile l'importanza di crescere e svilupparsi pensando a un modello di azienda che valorizza il ruolo della persona e presta attenzione a tutte le sue necessità, creandole intorno le condizioni per un ambiente sano e più stimolante".

Lo stress, anche grazie una direttiva europea, è stato inserito nel decreto legislativo 81 del 2008 che lo cita tra gli elementi che i datori devono valutare per prevenire gli infortuni ed è esso stesso una causa di malattia. Secondo la ricerca Fiaso è causato principalmente da tre fattori: carico di lavoro, difficoltà di conciliare l'impiego con la famiglia, trasferimenti o cambi di mansione.

Marco De Polo è professore di psicologia del lavoro e delle organizzazioni a Bologna. "I sintomi dello stress da lavoro sono di vari tipi - spiega - , si va dai problemi del sonno alle sbagliate abitudini alimentari, dalla stanchezza fisica ai dolori muscolari. Ci sono poi le varie forme emotive: maggiore irritabilità, ansietà. E' importante riconoscere questi sintomi rapidamente per affrontare il problema".

Secondo De Polo la formazione è molto importante. "Una persona competente - spiega - ha più modi di far fronte a carichi di lavoro che crescono o a difficoltà impreviste". Tutti i lavori hanno però un loro carico di stress. "Infatti può trattarsi solo di un fatto episodico. Bisogna iniziare a prendere in considerazione il problema quando capita più volte, 4 o 6. Vuol dire che non è un caso. Del resto siamo in una fase in cui questo problema va ad aumentare. E' figlio della stessa crisi, che fa perdere il lavoro a molte persone e stressa coloro che lo hanno. La dignità delle persone è attaccata, si licenzia e contemporaneamente si offrono lavori o così stupidi o così pesanti da minacciare ugualmente la dignità delle persone con lavori che stressano".

Aticolo Michele Bocci, tratto da: www.repubblica.it

mercoledì 19 gennaio 2011

STRESS LAVORO CORRELATO. IL MODELLO DI COOPER e IL MODELLO DI KARASEK E THEORELL

Lo stress da lavoro può essere definito, in generale, come una “risposta fisica ed emozionale dannosa che viene attuata quando le esigenze del lavoro non corrispondono (o si ritiene non corrispondano) alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore” (National Institute for Occupational Safety, 1999). Il termine “stress”, che deriva probabilmente dal latino “strictus”, ovvero stretto, compresso (Cox, 1978), significa originariamente “pressione” e venne introdotto in medicina per analogia della metallurgia, dove era utilizzato per indicare, appunto, la pressione che si applica ad un metallo per testarne la resistenza (Pancheri, 1983; Pellegrino, 2002). E si può parlare proprio di “pressione” per spiegare quella sensazione di continua tensione avvertita sul posto di lavoro, come si evince da una recente indagine Istat del 2007, dal titolo “Competenze, attività e condizione lavorative delle professioni in Italia”: pressione per dover continuamente rispettare delle scadenze (19,8% del totale), pressione per evitare di commettere gravi errori durante lo svolgimento delle proprie mansioni (5,9% del totale), pressione per riuscire a sopravvivere nella giungla della competizione (4,1% del totale). Anche se si può concordare con quanto affermato da Selye, ovvero che “La completa libertà dallo stress è la morte. Contrariamente a quanto si pensa di solito, non dobbiamo, ed in realtà, non possiamo evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace e trarne vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi, ed adattando la nostra filosofia dell’esistenza ad esso” (Selye, 1974; trad. it. 1976, p. 89), è altrettanto innegabile che lo stress comporti una condizione spesso di disagio e di sofferenza per il lavoratore.
Il modello di Cooper
Il modello di Cooper (Cooper e Marshall, 1976, 1978; Cooper e Sutherland, 1988) aiuta a capire quali sono le principali fonti di stress sul posto di lavoro, concepite proprio come “pressioni” dell’ambiente sul soggetto, suddividendole in cinque macro-categorie: le fonti intrinseche al job, il ruolo nell’organizzazione, lo sviluppo di carriera, le relazioni al lavoro e la struttura e il clima organizzativo. In particolare, con “fonti intrinseche al job” si intende l’insieme condizioni fisiche e ambientali che possono incidere negativamente sulla concentrazione e sull’efficienza dei lavoratori (come la rumorosità, le continue vibrazioni, le variazioni eccessive di temperatura, di ventilazione e di umidità, l’ illuminazione non adeguata, le carenze nell’igiene) e, soprattutto, i fattori relativi al compito, i cosiddetti “taskdemands”, come il carico lavorativo, che può essere sia sovradimensionato che sottodimensionato e deve essere inteso sia in termini quantitativi che qualitativi, la pressione temporale e la presenza di responsabilità elevate, soprattutto quelle concernenti la vita di altre persone.
Il modello della domanda-controllo di Karasek e Theorell
Un altro interessante modello, che cerca di indagare la relazione tra le “pressioni” dell’ambiente lavorativo e la risposta del lavoratore, soprattutto in termini di “strain”, ovvero di sforzo fisico e psicologico, è quello di Karasek e Theorell (1990).
In particolare, l’attenzione è posta su due variabili:
• la domanda, cioè il carico di lavoro, sia fisico che psicologico, imposto dal compito;
• il controllo, cioè la capacità percepita dall’individuo di svolgere il proprio compito e la discrezionalità nell’eseguirlo.
La combinazione di questi due fattori dà luogo, secondo Karasek e Theorell (1990), a quattro diverse esperienze psicosociali di lavoro:
• lavori ad alto strain: caratterizzati da un’alta domanda e da un basso grado di controllo (possono facilmente portare ad ansia, depressione ed esaurimento emotivo);
• lavori attivi: definiti da un’alta domanda e un alto grado di controllo e discrezionalità da parte della persona sulla propria attività, che ha così la possibilità di esprimere al meglio le proprie capacità. Questa tipologia di lavori aiuta il soggetto a raggiungere un alto livello di produttività e di apprendimento e aumenta nell’individuo il suo sentimento di competenza e di padronanza (mastery);
• lavori a bassa domanda e ad alto controllo: di norma, non danno alcun problema di tensione psicologica ai lavoratori e sono spesso svolti con soddisfazione;
• lavori passivi: caratterizzati da una bassa domanda ed impegno, ma da un’altrettanto limitata opportunità di utilizzare al meglio le proprie abilità. Non creano stress, ma possono annoiare e inibire le capacità di apprendimento.

martedì 14 dicembre 2010

INDICAZIONI PER LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO-CORRELATO APPROVATO DALLA COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE PER LA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO

L’articolo 28, comma 1, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di seguito d.lgs. n. 81/2008, prevede che la valutazione dei rischi debba essere effettuata tenendo conto, tra l’altro, dei rischi da stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004. In ragione delle difficoltà operative ripetutamente segnalate in ordine alla individuazione delle corrette modalità di attuazione di tale previsione legislativa, in sede di adozione delle disposizioni integrative e correttive al citato d.lgs. n. 81/2008, è stato introdotto all’articolo 28 il comma 1-bis, con il quale si è attribuito alla Commissione consultiva il compito di formulare indicazioni metodologiche in ordine al corretto adempimento dell’obbligo, finalizzate a indirizzare le attività dei datori di lavoro, dei loro consulenti e degli organi di vigilanza. Al fine di rispettare, entro il termine del 31 dicembre 2010, la previsione di cui all’articolo 28, commi 1 e 1-bis, del d.lgs. n. 81/2008, e successive modificazioni e integrazioni, la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha costituito un proprio comitato a composizione tripartita il quale, a seguito di ampio confronto tra i propri componenti, ha elaborato il presente documento, licenziato dalla Commissione consultiva nella propria riunione del 17 novembre 2010.

Le indicazioni metodologiche sono state elaborate nei limiti e per le finalità puntualmente individuati dalla Legge tenendo conto della ampia produzione scientifica disponibile sul tema e delle proposte pervenute all’interno alla Commissione consultiva e sono state redatte secondo criteri di semplicità, brevità e comprensibilità.

Il documento indica un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro pubblici e privati.

Definizioni e indicazioni generali

Lo stress lavoro-correlato viene descritto all’articolo 3 dell’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 - così come recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008 - quale “condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro” (art. 3, co. 1). Nell’ambito del lavoro tale squilibrio si può verificare quando il lavoratore non si sente in grado di corrispondere alle richieste lavorative. Tuttavia non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato. Lo stress lavoro-correlato è quello causato da vari fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro.
La valutazione del rischio stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione dei rischi e viene effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio) dal datore di lavoro avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS/RLST).
E’, quindi, necessario preliminarmente indicare il percorso metodologico che permetta una corretta identificazione dei fattori di rischio da stress lavoro-correlato, in modo che da tale identificazione discenda la pianificazione e realizzazione di misure di eliminazione o, quando essa non sia possibile, riduzione al minimo di tale fattore di rischio.
A tale scopo, va chiarito che le necessarie attività devono essere compiute con riferimento a tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti. La valutazione prende in esame non singoli ma gruppi omogenei di lavoratori (per esempio per mansioni o partizioni organizzative) che risultino esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale (potrebbero essere, ad esempio, i turnisti, i dipendenti di un determinato settore oppure chi svolge la medesima mansione, etc).

Metodologia

La valutazione si articola in due fasi: una necessaria (la valutazione preliminare); l’altra eventuale, da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli elementi di rischio da stress lavoro-correlato e le misure di correzione adottate a seguito della stessa, dal datore di lavoro, si rivelino inefficaci.
La valutazione preliminare consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili, ove possibile numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno a tre distinte famiglie:
I. Eventi sentinella quali ad esempio: indici infortunistici; assenze per malattia; turnover; procedimenti e sanzioni e segnalazioni del medico competente; specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori. I predetti eventi sono da valutarsi sulla base di parametri omogenei individuati internamente alla azienda (es. andamento nel tempo degli indici infortunistici rilevati in azienda).
II. Fattori di contenuto del lavoro quali ad esempio: ambiente di lavoro e attrezzature; carichi e ritmi di lavoro; orario di lavoro e turni; corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti.
III. Fattori di contesto del lavoro quali ad esempio: ruolo nell’ambito dell’organizzazione, autonomia decisionale e controllo; conflitti interpersonali al lavoro; evoluzione e sviluppo di carriera; comunicazione (es. incertezza in ordine alle prestazioni richieste).

In questa prima fase possono essere utilizzate liste di controllo applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione che consentano una valutazione oggettiva, complessiva e, quando possibile, parametrica dei fattori di cui ai punti I, II e III che precedono.

In relazione alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto di cui sopra (punti II e III dell’elenco) occorre sentire i lavoratori e/o i RLS/RLST. Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile sentire un campione rappresentativo di lavoratori. La scelta delle modalità tramite cui sentire i lavoratori è rimessa al datore di lavoro anche in relazione alla metodologia di valutazione adottata.

Ove dalla valutazione preliminare non emergano elementi di rischio da stress lavoro-correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, il datore di lavoro sarà unicamente tenuto a darne conto nel Documento di Valutazione del Rischio (DVR) e a prevedere un piano di monitoraggio.

Diversamente, nel caso in cui si rilevino elementi di rischio da stress lavoro-correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla pianificazione ed alla adozione degli opportuni interventi correttivi (ad esempio, interventi organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, formativi, etc). Ove gli interventi correttivi risultino inefficaci, si procede, nei tempi che la stessa impresa definisce nella pianificazione degli interventi, alla fase di valutazione successiva (c.d. valutazione approfondita).

La valutazione approfondita prevede la valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori, ad esempio attraverso differenti strumenti quali questionari, focus group, interviste semistrutturate, sulle famiglie di fattori/indicatori di cui all'elenco sopra riportato. Tale fase fa riferimento ovviamente ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche. Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile che tale fase di indagine venga realizzata tramite un campione rappresentativo di lavoratori. Nelle imprese che occupano fino a 5 lavoratori, in luogo dei predetti strumenti di valutazione approfondita, il datore di lavoro può scegliere di utilizzare modalità di valutazione (es. riunioni) che garantiscano il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia.

Disposizioni transitorie e finali

La data del 31 dicembre 2010, di decorrenza dell’obbligo previsto dall’articolo 28, comma 1-bis, del d.lgs. n. 81/2008, deve essere intesa come data di avvio delle attività di valutazione ai sensi delle presenti indicazioni metodologiche. La programmazione temporale delle suddette attività di valutazione e l’indicazione del termine finale di espletamento delle stesse devono essere riportate nel documento di valutazione dei rischi. Gli organi di vigilanza, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di propria competenza, terranno conto della decorrenza e della programmazione temporale di cui al precedente periodo.
Allo scopo di verificare l’efficacia della metodologia qui indicata, anche per valutare l’opportunità di integrazioni alla medesima, la Commissione Consultiva provvederà ad elaborare una relazione entro 24 mesi dalla pubblicazione delle presenti indicazioni metodologiche, a seguito dello svolgimento del monitoraggio sulle attività realizzate. Le modalità di effettuazione di tale monitoraggio saranno definite dalla Commissione consultiva.
I datori di lavoro che, alla data di approvazione delle presenti indicazioni metodologiche, abbiano già effettuato la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato coerentemente ai contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004 - così come recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008 - , non debbono ripetere l’indagine ma sono unicamente tenuti all’aggiornamento della medesima nelle ipotesi previste dall’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008, secondo quanto indicato nel presente documento.

lunedì 15 novembre 2010

IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI

Il documento di valutazione del rischio, nella parte specifica relativa alla valutazione/gestione del rischio stress lavoro-correlato, deve documentare l’effettuazione dei seguenti interventi:
- le azioni di sensibilizzazione ed informazione effettuate, i soggetti coinvolti e gli strumenti adottati;
- l’analisi documentale in ordine alla descrizione dell’organizzazione del lavoro, della gestione del sistema di sicurezza e tutela della salute e dei flussi informativi inerenti gli indicatori aziendali di stress lavoro-correlato;
- le azioni formative intraprese per le varie figure interne (strumenti adottati e durata delle iniziative);
- il processo valutativo effettuato con gli strumenti di indagine oggettiva / soggettiva utilizzati ed il report di analisi dei dati con il livello di rischio per aree/gruppi omogenei;
- il programma delle misure di prevenzione/protezione collettiva ed individuale da attivare con la tempistica di intervento ed il ruolo dei soggetti aziendali che vi devono provvedere;
- l’eventuale sorveglianza sanitaria mirata ai gruppi a rischio, implementata nel piano sanitario esistente, compresi i programmi di promozione della salute su base volontaria;
- il piano di monitoraggio / follow-up con relativa tempistica.

IL PERCORSO DI VALUTAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO

L’introduzione dell’obbligo della valutazione del rischio da stress lavoro-correlato sta determinando la richiesta da parte delle aziende, di strumenti valutativi semplici, economici e validi. Il mercato propone prodotti apparentemente efficaci, per lo più in forma di software/check-list, ma che, se utilizzati in via esclusiva, possono risultare inadeguati, se non addirittura controproducenti o dannosi.
Infatti la natura del rischio stress lavoro-correlato, diverso da altri rischi occupazionali (es. rumore) affrontabili con metodi e strumenti di misura standardizzati, richiede, più che uno strumento di valutazione “meccanicistico”, l’applicazione di metodi condivisi di approccio al problema con la valutazione del rischio specifico attraverso strumenti differenti, articolati fra loro e la gestione degli interventi correttivi con il concorso di tutti gli attori del sistema di prevenzione e protezione interna (datore di lavoro, dirigenti, preposti, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, medico competente, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, lavoratori).
Va favorito un circolo virtuoso, e questo è possibile solo facendo chiarezza su come un processo di valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato debba necessariamente percorrere le tappe di seguito descritte.

5.1 Azioni comunicative ed informative
Tali azioni rappresentano la necessaria premessa dell’intero percorso e devono avere un carattere motivazionale oltre che informativo. Sono ipotizzabili due distinti filoni comunicativi:
a) la sensibilizzazione di tutti i lavoratori sul problema stress lavoro-correlato: natura, cause, effetti, soluzioni;
b) l’esplicitazione da parte del management della volontà di affrontare il problema (impegnandosi direttamente nell’attivazione), del riconoscimento del ruolo fondamentale della partecipazione dei lavoratori e della volontà di orientare l’intero percorso alla ricerca di soluzioni condivise (soprattutto di prevenzione collettiva).
Gli strumenti e le iniziative vanno valutati in base alle specifiche realtà. Per esempio nelle piccole imprese con pochi lavoratori ed un livello di complessità organizzativa relativamente basso potrebbero essere sufficienti incontri con tutti i lavoratori, supportati da un adeguato materiale informativo (libretti/depliant informativi).
Per le realtà aziendali più complesse, articolate in settori
funzionali ed aree produttive e con un maggior numero di addetti, è opportuno invece prevedere riunioni di gruppi di lavoratori ed incontri informativi specifici per dirigenti e preposti.
In tutti i casi
è consigliabile un’azione specifica di “informazione/attivazione” sulle figure chiave interne (responsabile del servizio di prevenzione e protezione, addetti al servizio di prevenzione e protezione, medico competente, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza).
5.2 Analisi documentale
L’ analisi documentale è necessaria per la lettura dell’organizzazione del lavoro (organigramma, flussi produttivi, flussi comunicativi, gestione risorse umane, ecc.), la raccolta di indicatori aziendali di stress lavoro-correlabili (assenze per malattia, infortuni, turn-over, richieste cambio mansione, ecc.) e per le informazioni sulla gestione della salute e sicurezza (verbali riunioni periodiche, piani di intervento annuali/pluriennali, relazioni biostatistiche annuali);
5.3 Azioni formative
Le azioni formative (percorsi formativi per il management, percorsi di formazione per lavoratori e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, aggiornamento del medico competente e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione) dovranno avere come obiettivi:
- trasferire conoscenze e competenze finalizzate alla prevenzione del rischio, anche allo scopo di favorire e qualificare la partecipazione effettiva dei lavoratori nella fase valutativa;
- rafforzare le diverse competenze per la gestione costante del rischio specifico.
In questo senso vanno differenziati i percorsi formativi per le figure interne:
a. corsi per dirigenti-preposti. Tali soggetti dovranno essere formati (D.Lgs. 81/08 art. 37 comma 7) sulle responsabilità individuate dalla legge in carico sia al datore di lavoro, che agli stessi dirigenti/preposti (collaborazione all’effettuazione della valutazione del rischio specifico,
definizione dei criteri e metodi di valutazione, individuazione delle procedure di attuazione delle misure preventive con particolare riferimento al ruolo dell’organizzazione, conoscenza delle problematiche legate alla specificità di genere, età, provenienza geografica, tipologia contrattuale);
b. corsi per i lavoratori sul rischio specifico, nell’ambito della formazione prevista all’art.37 D.Lgs. 81/08;
c. corsi per i rappresentanti del lavoratori per la sicurezza , come previsto all’art. 37 comma 10 del D.Lgs 81/08;
d. le competenze specifiche delle figure esperte non possono essere limitate a generiche conoscenze sul tema dello stress lavorativo, ma devono assicurare le capacità di effettuare direttamente (in stretta relazione con il datore di lavoro) la valutazione del rischio specifico. E’ opportuno che medico competente e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione perfezionino le loro competenze acquisite nei percorsi formativi istituzionali attraverso la
partecipazione a specifiche iniziative di formazione accreditate (corsi, convegni, seminari, ecc.).
La formazione deve essere ripetuta periodicamente.
5.4 Valutazione del rischio
L’intervento di valutazione del rischio specifico, preceduto dalle azioni sopra descritte, comprende:
- una valutazione oggettiva tramite metodi di osservazione diretta;
- una valutazione soggettiva tramite l’analisi della percezione dei lavoratori;
- un report conclusivo con l’analisi dei dati e la definizione dei livelli di rischio a cui collegare gli interventi preventivi/protettivi sullo stress lavoro-correlato, che diventa parte integrante del documento generale di valutazione dei rischi.
L’intento della valutazione oggettiva dovrà essere quello di fare una “fotografia” della realtà organizzativa d’impresa. A questo scopo possono essere utilizzati strumenti quali l’osservazione diretta con report, check-list, job analysis. Questo primo momento di analisi oggettiva permetterà anche di identificare gruppi omogenei di lavoratori ovvero partizioni organizzative aventi caratteristiche comuni in merito ai fattori di rischio organizzativo. Gli interventi successivi in merito
al processo di valutazione del rischio potranno essere effettuati sui gruppi o sulle partizioni così identificati.
La valutazione soggettiva, preceduta da una informativa adeguata tesa a garantire la partecipazione,
comprende le azioni di indagine della percezione soggettiva dello stress lavoro-correlato sui gruppi
omogenei, attraverso strumenti di valutazione delle dimensioni lavorative critiche percepite, delle
risorse individuali/di gruppo fruibili e dei disturbi psicofisici stress lavoro-correlati (disturbi
psichici, disturbi somatici);
Sulla base dei dati raccolti e sulla base dell’analisi degli stessi s’identificheranno indicatori sintetici parametrici di livello di rischio (del tipo basso-medio-alto) a livello aziendale o per partizione organizzativa/gruppo omogeneo.

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: LINEE GUIDA DELLA REGIONE LOMBARDIA

Col DDG n° 13559 della Regione Lombardia vengono approvati gli "INDIRIZZI GENERALI PER LA VALUTAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORATIVO ALLA LUCE DELL’ACCORDO EUROPEO 8.10.2004", con il quale una delle regioni più attente al problema della sicurezza sul lavoro si propone di fornire delle indicazioni relative all' oscuro problema della valutazione dello stress occupazionale.

Il documento, disponibile all' indirizzo: http://www.sanita.regione.lombardia.it/shared/ccurl/843/708/DDG%2013559%2010_12_2009.pdf, è stato realizzato dal Laboratorio "Stress e Lavoro", un gruppo di studio sul tema avviato nell’ambito del piano regionale 2004 –2006 e proseguito con il successivo piano triennale 2008-2010 per la promozione della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro.

Seppur in attesa, come stabilito dal D.Lgs 106/09, delle indicazioni relative alla valutazione che la Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro dovrebbe formulare entro agosto 2010, il documento si propone di fare il punto della situazione nonchè, dopo un'analisi degli strumenti esistenti, di fornire un primo esempio di possibile approccio valutativo.

Innanzitutto viene attentamente esplorato l'ormai famoso Accordo Quadro Europeo sullo Stress Lavoro- Correlato, che a livello normativo (art. 28 -D.Lgs. 81/08) rappresenta e rappresenterà il punto di riferimento per la valutazione ma anche (e sembra che in tanti non se ne siano accorti) per le misure di prevenzione.
Successivamente il documento fornisce un elenco dei principali fattori stressogeni (stressors) secondo la letteratura scientifica, per poi analizzare "criteri, metodi e strumenti inerenti lo stress lavorativo e sul processo di valutazione e gestione del rischio specifico".
Al quarto capitolo viene proposto un possibile approccio valutativo, per poi concludere con l'illustrazione del ruolo svolto dai servizi territoriali e regionali.
Molto interessanti, in particolare, risultano i capitoli relativi all'analisi degli strumenti valutativi e allo schema di modello proposto, sebbene gli approcci enunciati sembrano un pò eccessivi.
Senza nulla togliere, infatti, alla estrema importanza del fenomeno e alla necessità di combatterlo in maniera efficace, va ricordato che le realtà aziendali non sempre permettono di coinvolgere a 360° gradi tutte le figure della prevenzione e i lavoratori, sia per la contemporanea presenza di altri fattori di rischio da monitorare e prevenire, sia per le necessità produttive delle aziende, che in un momento critico come quello attuale non possono essere trascurate.
L'ottimo lavoro e i buoni propositi, infatti, del gruppo di studio che ha elaborato il presente documento, tracciano un profilo che purtroppo risulta a tratti idealistico e che si scontrerà giocoforza con le esigenze delle strutture aziendali e di chi le guida. Superare questi ostacoli sarà poi compito del legislatore e degli organismi di controllo, in quanto allo stato attuale manca la cultura della prevenzione che invece è lo standard nei paesi più impegnati del nostro nel campo della sicurezza. Quando anche le logiche aziendali, infatti, comprenderanno che la prevenzione rappresenta il primo fattore di risparmio e di incremento produttivo, allora anche interventi complessi risulteranno risorse.
A prescindere dalla situazione attuale, comunque, le linee guida della Regione Lombardia servono quantomeno a fare un pò di chiarezza su un tema ancora troppo oscuro. Nella logica economica che ogni nuovo rischio professionale porta con sè, infatti, troppi strumenti inutili sono stati proposti, altrettanti di scarso livello o ormai obsoleti sono stati utilizzati, così come si sono moltiplicati gli organismi o le figure professionali che si propongono come unici referenti per la valutazione.